Opuscoli

Opuscoli (47)

DOTTRINA CRISTOLOGICA

Nell'elaborazione dottrinale del primo e secondo secolo la figura del Cristo viene notevolmente rivalutata.

Sulla figura di Gesù la concezione dottrinale subisce una graduale e sostanziale evoluzione:
a) Gesù in un primo tempo è definito " servo di Dio e profeta " ( Atti cap 3-4 ).
b) In un secondo tempo Gesù viene definito " figlio di Dio " da Paolo nel senso di uomo di Dio (Atti 9, 20; 13, 33; Rom.1, 4; 15,6 ; Gal.4, 4-7); "figlio di Dio prediletto " (Mt.3, 17 ), "figlio primogenito " (Ebr.1, 6) espressioni che lasciano presupporre che non sia figlio unico; "figlio di Dio non da sempre" ma da un determinato momento: "oggi ti ho generato " (Ebr.1, 5)  "costituito figlio con la resurrezione " (Rom.1, 4).
c) In un terzo tempo Gesù viene definito "figlio di Dio " in senso generazionale (Ebr.1).
d) In fine Gesù viene definito " Dio " (Col.2, 9: "è in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità") e come tale oggetto di adorazione ( Ebr.1, 6: "lo adorino tutti gli angeli di Dio ").
e) Gesù come Dio viene identificato con il LOGOS (Giov.1, 1; Scuola catechetica di Alessandria nel II e III sec. da Clemente  [ fine II sec.-inizi IIIsec.]). Gesù " figlio unigenito generato ab aeterno, della stessa natura del Padre ma a lui subordinato" (Origene della Scuola catechetica di Alessandria [ fine II sec.  inizi III sec.]).

POLEMICHE CRISTOLOGICHE E DEFINIZIONE DELLA DOTTRINA CRISTOLOGICA

- ARIO (256-336), influenzato dal subordinazionismo, affermò che l'essere di Dio non è partecipabile al Logos che è creato dal Padre dal nulla e quindi non gli è coeterno.
- ATANASIO (295-373) e Concilio di NICEA (325) affermano che il figlio è generato dal Padre, è unigenito e consustanziale al Padre (Credo).
- NESTORIO (patriarca di Costantinopoli V sec.) definì Gesù uomo-Dio con due nature e due persone.
- CIRILLO (patriarca di Alessandria) e Concilio di EFESO (431) affermano che in Gesù uomo-Dio vi è una sola persona.
- APOLLINARE ed EUTICHE monofisiti [1] affermano che in Gesù uomo-Dio vi è una sola natura.
- LEONE MAGNO e il Concilio di CALCEDONIA (451) affermano, e sarà la dottrina definitiva della Chiesa, che in Gesù uomo-Dio ci sono due nature ed una persona, quella divina.

[1] Monofisiti da Monos =unico e Fysis = natura.

DOTTRINA TRINITARIA 

Nella Scrittura, oltre al termine, manca qualsiasi definizione concettuale, o una dottrina della Trinità. L'elaborazione di un dogma trinitario avverrà ad opera della speculazione teologica successiva all'epoca neotestamentaria e si compirà soltanto alla fine del IV sec.
Il problema cominciò ad essere posto nel corso del IIE sec. con la definizione della divinità del Figlio passando attraverso la speculazione filosofica ellenistica della Scuola catechetica di Alessandria, attraverso l'adozionismo (eresia predicata da Teodoto di Bisanzio che non riconosceva a Gesù la divinità ma solo una santità superiore per il fatto che Dio gli aveva affidato la salvezza degli uomini, condannata da papa Vittore e successivamente dal Concilio di Antiochia [268]) e il modalismo (eresia dei sec.IIE e IIIE che negava una distinzione reale di persone in Dio, e concepiva la Trinità come un "modo" diverso di manifestarsi di Dio, combattuta dagli apologisti Tertulliano e Ippolito e dai papi Zefirino [198-217] e Callisto [217-222]), trovò una prima conclusione nel Concilio di Nicea (325) e una sistemazione definitiva con la definizione della divinità dello Spirito nel Concilio di Costantinopoli (381).

DOTTRINA MARIOLOGICA 

A parte la leggenda dell'annunciazione e della nascita miracolosa, la famiglia di Gesù nei vangeli resta abbastanza in ombra ed appare anzi in discordia con lui nei due sconcertanti episodi narrati da Marco in 3, 21 in cui i familiari tentano di catturarlo credendolo pazzo e  in 3, 31-35 in cui egli rifiuta di ricevere la madre, i fratelli e le sorelle. Comunque nei vangeli Maria appare come una madre come tutte le altre, non solo ignara della sua missione, ma piuttosto preoccupata per quel figlio "strano"; inoltre negli altri libri del N.T. essa è pressoché ignorata del tutto.
Finché Gesù fu ritenuto un "santo", un "profeta" di Dio non scandalizzava nessuno che la sua famiglia fosse costituita da gente comune e che Maria fosse madre di numerosi figli: cinque maschi (Giacomo, Joses, Giuda, Simone) e un numero non precisato di femmine (Mc.6, 3).
Ma allorché si andò affermando la dottrina della divinità di Gesù nel II sec. si incominciò a lasciare in ombra tutto ciò che sembrava in contrasto con questo stato di Gesù e a costruire una figura di Maria confacente con la dignità del figlio: si diede credito e si rafforzò la tradizione della nascita miracolosa per intervento divino, della verginità prima e dopo il parto, fino a giungere al concilio di Efeso (431) in cui fu proclamata  "madre di Dio ", forse sotto l'influsso dei culti di divinità femminili molto popolari nell'area mediterranea e soprattutto nell'Anatolia, dando così inizio al culto della madre di Dio in tutte le sue forme. Gli ultimi dogmi che la riguardano sono in ordine di tempo quello dell'Immacolata Concezione senza peccato originale, proclamato dal Concilio Vaticano I (1854) e quello dell'assunzione in cielo del suo corpo dopo la morte, proclamato da Pio XII nel 1950. 

CULTO DEI SANTI 

Iniziato come ammirazione verso quei cristiani che avevano testimoniato eroicamente fino alla morte la loro fede e assunti come modelli; proseguito come custodia dei loro corpi, è continuato come venerazione delle loro reliquie.
La commemorazione nel martirologio nel giorno della loro morte si trasforma nei secoli successivi in vere e proprie festività. La raffigurazione dei santi prima in forma pittorica nelle chiese e successivamente in forma scultorea apre la strada al vero e proprio culto, all'erezione di templi e santuari in loro onore, meta di pellegrinaggi, ad essi i fedeli rivolgono preghiere e suppliche, e chiedono grazie, i loro simulacri vengono portati in processione ecc.
Il culto di Maria e dei santi ha sostituito nella cultura del popolo i culti pagani delle religioni precristiane. A volte festività cristiane sono la continuazione di festività pagane con il semplice cambiamento di nome. 

DOTTRINA DELL'ALDILA' 

Nel racconto del povero Lazzaro e del ricco (Lc.16, 19-31) emerge la teorizzazione di un aldilà costituito dal "regno dei cieli" dove si trova Abramo, i patriarchi, Mosè ed i profeti e da un inferno, luogo di tormenti dove i cattivi bruciano nel fuoco.
Nei secoli successivi maturò la dottrina del "purgatorio",
inteso come terzo luogo  dell'aldilà dove le anime, non meritevoli dell'inferno e neppure degne del paradiso, scontano una pena temporale in attesa di meritare il paradiso.
Il primo a parlare di pene temporali da scontare dopo la morte fu Clemente Alessandrino nel IIIE sec.
Nel VI sec. Cesario di Arles (m.nel 542) chiama "purgatorio" la pena temporale dopo la morte.
Gregorio Magno (540-604) enuncia la dottrina del purgatorio, ripresa nel XIII sec. da Tommaso d'Aquino e definita successivamente dai concili di Lione (1274), di Firenze (1439) e di Trento (1545-1563).

DOTTRINA DELLA STORIA 

Nei testi del N.T. non emerge una concezione della storia, a parte gli spunti escatologici dei vangeli e dell'apocalisse. Sarà la riflessione dottrinale dei primi secoli, culminante con il pensiero di Agostino, a formulare una concezione della Storia vista come un tessuto di vicende umane e di interventi divini ordinati in un processo unitario in cui la Provvidenza è protagonista e ruotanti attorno ad alcuni avvenimenti chiave: la creazione, il peccato originale, la redenzione, il ritorno del figlio dell'uomo, la fine del mondo, il giudizio universale.

 

Concetto di Dio 

Il Dio di cui parla Gesù non è concettualmente lo stesso Dio dell' ebraismo. I patriarchi che fondarono la religione ebraica erano padroni di torme di servi e schiavi, che trattavano alla stessa stregua dei loro armenti e dai quali esigevano sottomissione assoluta; il loro Dio non poteva che essere, al pari di essi, che un Dio padrone, esigente, geloso, severo e vendicativo. I patriarchi, proprietari di greggi e armenti, erano in continuo conflitto reale o potenziale con i vicini per i pascoli o per i pozzi per l'abbeverata, ciò spiega il loro carattere bellicoso e il loro Dio non poteva che essere un Dio degli eserciti.

Gesù invece era povero, figlio di poveri, equiparato agli schiavi, le cui aspirazioni sono opposte a quelle dei padroni: essi aspirano alla libertà, alla equiparazione umana, civile e giuridica con i "liberi", essi hanno "fame" di rispetto, di considerazione, di comprensione, di amore. Il Dio di costoro e quindi di Gesù è l'opposto del Dio dei padroni, dei patriarchi, è un  " DIO PADRE " (pregate così: Padre nostro...Mt.6, 9; padre celeste = provvidenza, Lc.12, 22; parabola del figliol prodigo, Lc. 15, 11-31) buono, remissivo, misericordioso, che ama gli uomini " suoi figli ", che capisce le loro debolezze, che provvede alle loro necessità, che predilige i più deboli, i più indifesi, i più bisognosi soccorrendoli, che perdona infinite volte, che non aspetta chi erra, ma va a cercarlo (la pecorella smarrita Mt. 18, 12). 

Concetto dell'uomo 

Nel Vecchio Testamento gli uomini sono "servi di Dio" e disuguali in questa servitù: alcuni sono "servi prediletti" verso cui egli è più tollerante e benevolo, tutti gli altri sono reietti senza speranza.

Per Gesù invece gli uomini sono "figli di Dio", e come tali tutti uguali e, se fra essi ci sono dei prediletti, questi sono i meno fortunati: i poveri, i sofferenti, i deboli, i perseguitati, le pecorelle smarrite, coloro che sbagliano, ecc.

Nel Nuovo Testamento non si fa cenno dell'anima e della sua immortalità, anche se è ammessa un'esistenza dopo la morte ( se vuoi entrare nella vita eterna Mt.19, 16-17; Lazzaro e il ricco Lc.16, 19-31 ) ma si punta piuttosto alla "resurrezione dei morti".  

Comandamento della carità 

Dal latino "caritas"=benevolenza, dal greco χάρις, ιτoς, charis = amabilità, benignità, benevolenza. 
"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente ", "amerai il prossimo tuo come te stesso " (Mt.22, 37 e 39) 
Circa il significato di "prossimo tuo " si veda la parabola del buon samaritano (Lc.10, 25-37), per la quale il "prossimo " comprende anche lo straniero, e perfino il nemico: "ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano " (Lc.6, 27-28).
E' da tenere presente anche la parabola della pecorella smarrita e quella del figliol prodigo, la quale illustra anche il valore dell'uomo stimato al di sopra di ogni bene terreno e di ogni ricchezza. 

Il Cristianesimo, sviluppo di una delle sette ebraiche del II-I sec. a.C., prese vita dagli insegnamenti innovativi e dagli esempi di virtù di Gesù di Nazareth vissuto in Palestina al tempo degli imperatori romani Augusto e Tiberio. Si presentò essenzialmente come una Religione, ma ebbe anche dei notevoli risvolti nel pensiero filosofico e nei campi morale, sociale, politico ed economico. I vari concetti e precetti furono espressi dal fondatore in maniera episodica ed asistematica. Fu costituito in dottrina sistematica nei secoli successivi ad opera prima di tutti di Paolo di Tarso, poi dalla Scuola Alessandrina e successivamente dai vari concili episcopali. Dopo una prima fase eroica estesa fino agli inizi del IV sec., da Costantino in poi, ebbe inizio un periodo, fecondo di pensiero, di diffusione in Europa soprattutto ad opera dei monaci cenobiti. Con l'affermarsi del feudalesimo cominciò la decadenza con la sempre più diffusa ingerenza dei feudatari nella vita, nell'organizzazione e nella direzione della Chiesa. Per questa intromissione spesso si trovarono a dirigere   parrocchie, monasteri, sedi episcopali e perfino a volte il papato dei personaggi mossi da tutt'altri interessi che da quelli religiosi ed evangelici e che conducevano un tenore di vita mondano.

Michelangelo Pucci

 

muϑοϛ  

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Il Mytos e Lògos 

In greco mytos designa un'espressione verbale inizialmente non in contrasto con logos.
Solo nel periodo tra l' VIII e il IV sec. A.C. i due termini si vanno differenziando in conseguenza dell'introduzione della scrittura e della maturazione della ricerca filosofica-scientifica-storica.

Dal punto di vista di chi formula l'espressione:

- una prima linea di demarcazione è rappresentata dalla scrittura per cui mytos = tradizione orale, logos = letteratura scritta. Questa demarcazione va però considerata non nel periodo storico, nel quale anche i mytoi sono scritti, ma nel momento genetico delle due espressioni:
il mytos  nasce e si sviluppa nel periodo in cui non esisteva la scrittura ed è destinato ad essere trasmesso oralmente;
il logos si sviluppa successivamente all'introduzione della scrittura, nasce come espressione scritta ed è destinato ad essere trasmesso per iscritto. 

- Una seconda linea di demarcazione è rappresentata dalla forma:
è mytos l'espressione in forma poetica,
è logos quella in forma prosaica.

- la terza linea di demarcazione è il modo del linguaggio:
è mytos l'espressione che usa un linguaggio simbolico e per immagini concrete;
è logos l'espressione che usa un linguaggio astratto.

- la quarta linea di demarcazione è la strutturazione del discorso:
il mytos procede per accostamento di immagini,
il logos procede attraverso una serie serrata di argomentazioni logiche.

Dal punto di vista del destinatario che riceve il messaggio:

- la quinta linea di demarcazione è la fascinazione:
è mytos l'espressione destinata ad essere ascoltata e quindi deve risultare piacevole, tale da esercitare una seduzione per tenere l'uditorio sotto l'incantesimo;
è logos l'espressione destinata ad essere letta che deve risultare utile per l'insegnamento che contiene.

- la sesta linea di demarcazione è la fascinosità del contenuto:
il mytos fa leva sul drammatico, sul meraviglioso, sul miracoloso per esercitare un'azione mimetica e suscitare una partecipazione emotiva,
il logos invece fa leva sull'argomentazione dei fatti.

- La settima linea di demarcazione è l'effetto destinato ad ottenere sul destinatario del messaggio:
il mytos è l'espressione che si indirizza alla parte irrazionale dell'uditore ed è diretta a suscitarne l'emotività;
è logos l'espressione che si indirizza alla parte razionale dell'ascoltatore ed è diretta a stimolarne la riflessione.

- L'ottava linea di demarcazione è data dall'uso privato o pubblico della parola:
nel mytos la parola è privilegio esclusivo di chi ne possiede il dono,
nel logos invece la parola appartiene nella stessa misura a tutti i membri della comunità, in quanto scritto il logos è portato in mezzo al pubblico, è l'espressione del gioco politico di una città democratica.

Michelangelo Pucci

Si tratta di scritti inediti stampati con mezzi propri, distribuiti gratuitamente agli alunni per approfondimento e come supporto didattico

Sul monte Mucrone

         Estate1954. Afine dell’anno scolastico è stata programmata la gita annuale in pullman. Si va al santuario di Oropa nelle prealpi che si ergono alle spalle di Biella.

         Partiamo ai primi albori. All’ora che gli operai vanno al lavoro arriviamo a Biella. Qui, scesi dal pullman per una breve pausa, un incontro inaspettato: mentre mi sgranchisco le gambe, mi si avvicina Alfonsino Perrelli, era lì per lavoro, è lui che ha individuato nel nostro gruppo Cicalese e me. Per me è una sorpresa, tanto più gradita per il fatto che questo è il primo anno che non sono sceso a Tortora per le vacanze. E’ come sentirmi per pochi minuti in Calabria, è come godere della vicinanza dei miei. Non riesco ad essere molto loquace per l’abitudine alle lunghe ore di silenzio e per la mia naturale taciturnità, in compenso sono un buon ascoltatore. L’incontro, purtroppo, è di breve durata. Ci chiamano a raccolta per risalire in pullman.

         Usciti da Biella, la vallata si biforca. Ci inoltriamo nella valle di sinistra e, salendo per13 chilometri, arriviamo nel piazzale del santuario a1180 m. di altitudine. E’ un complesso imponente, consacrato alla Madonna. Esaurite le funzioni, prendiamo i nostri zaini e diamo inizio all’escursione. Saliamo su per un sentiero che taglia a metà costa le pendici del monte Tovo. Superate le sorgenti del ruscello che, dopo essere passato accanto alla chiesa, va ad unirsi al Torrente Cervo poco prima di Biella, svoltiamo a sinistra diretti al monte Mucrone. Il sentiero è sempre più ripido fino a che diventa poco più che una traccia. La cima è già in vista davanti a noi, ma c’è un passaggio un po’ difficile per noi che siamo alla prima esperienza. Il pendio alla nostra sinistra è particolarmente ripido … , non ci sono alberi … , non ci sono arbusti … , solo un’erba di un verde intenso che sembra accentuare la pendenza. Noi inesperti procediamo con cautela, un piede dietro l’altro, inclinati a monte. Ad un tratto ad uno sfugge di mano lo zaino, che rotola giù velocemente. Mi vedo ruzzolare dietro a quello … , mi sento mancare … , mi viene il capogiro e mi assale un senso di panico … , mi fermo e mi piego sulla destra aggrappandomi all’erba. Dopo un po’ riprendo coraggio, si fa per dire! Arrancando più con le mani che con i piedi vado piano piano avanti, evitando di guardare sotto e puntando gli occhi di fronte. Superato il tratto critico arrivo sulla cima rocciosa, là dove altri erano giunti da un pezzo! Il punto più alto è contrassegnato da una croce di ferro: siamo a2335 mdi altezza. Non si vede, purtroppo, nulla … , siamo circondati da una fitta nebbia che sale dalla valle.

 

Sotto l’ippocastano

         Anche a Santa Fede la vita è organizzata come al Rivaio, tra ore di scuola, tempi di studio e momenti di ricreazione. Qui però godiamo di una maggiore autonomia: non c’è la figura del prefetto, negli spostamenti, sia interni sia esterni, non dobbiamo osservare la fila. Nelle passeggiate esterne non andiamo in un unico gruppone diretto alla stessa meta, ma in piccoli gruppi di tre o quattro diretti a mete diverse, sotto un capogruppo, di solito il più anziano.

         Le ricreazioni non dobbiamo trascorrerle obbligatoriamente tutti in uno spazio ma ognuno in uno dei luoghi a ciò destinati: la sala di lettura, le terrazze, il campo in terra battuta antistante l’abbazia.
         Il campo … è un’ampia spianata di forma rettangolare. A est il vialetto di accesso al complesso, a nord un prato più o meno triangolare adiacente la strada carrabile di Cavagnolo, a sud un campo in leggera pendenza, residenza abituale di talpe che lo arano regolarmente con le loro gallerie, a est un altro prato da cui è diviso da due giganteschi ippocastani.

         Gli ippocastani … nostri amici che ci riparano dal sole con la loro grande ombra nelle giornate estive.  Sotto ci sono delle panchine su cui riposiamo tra una partita di pallone e l’altra.

         E’ una serata di fine estate ancora calda. Seduti sulle panchine o attorno in piedi ascoltiamo le esibizioni canore di ………. , studente di teologia, che con squillante voce tenorile canta arie di opere classiche e stornellate, i gorgheggi visitano tutti i campi della musica fino alle canzonette di recente lanciate al festival di San Remo … vibrano nell’aria le note e le parole di “Vola colomba” … . Dal terrazzo più basso ci osserva e ascolta anche padre Ferrari … : passi - “mi sorrideva il sole, il cielo, il mar” - , ma alle parole - “vorrei volar dov’è il mio amor” - la sua faccia diventa scura … , ai versi - “fa che il mio amore torni, che torni presto” - le sue sopracciglia si aggrottano … , ma infine … è proprio il colmo! – “dille che non sarà più sola e mai più la lascerò” – i suoi occhi si socchiudono e diventano taglienti come lame … , al momento non dice nulla. Finiti i canti con il termine della ricreazione, ci ritiriamo nell’aula di studio … , il padre ci aspetta là … , appena seduti, investe tutti e, in particolare, il nostro usignolo con una aspra reprimenda moralistica. All’inizio non me ne spiego la ragione e non capisco! Per me quelle parole non avevano nessun significato. Ma, a pensarci bene, le ali della colomba di Nilla Pizzi portano e le campane di San Giusto lanciano, affidandolo al vento, l’anelito d’amore di un uomo alla sua donna! … Beh! … .

 

La corvèe

          Nell’istituto non c’è personale di servizio, costerebbe troppo. Alle pulizie delle camerate, delle aule, dei corridoi, dei gabinetti e dei cortili dobbiamo provvedere noi alunni a turno nel tempo della ricreazione. Ma più che il risparmio, credo, lo scopo principale di queste occupazioni è educativo: abituarci ad essere autonomi e a dare importanza al lavoro manuale. Noi, è ovvio, non ne siamo proprio felici, ma le accettiamo e alla fine vi ci abituiamo.

Ogni settimana il prefetto nomina fra gli alunni gli incaricati di ogni ambiente. Ogni incaricato stabilisce i turni e i nominativi di coloro che dovranno curare le pulizie del locale, non senza, a volte, le lamentele o proteste degli interessati che si vedono assegnati troppo frequentemente ai servizi meno graditi. Giudice della correttezza delle procedure di assegnazione è il prefetto.

Oggi tocca a me, insieme con altri due: il compagno di classe Cherubini e Ricossa del IV° ginnasio, a pulire i gabinetti.

L’ambiente dei gabinetti si trova all’estremità nord dell’aula di studio. E' composto da un disimpegno e dal vero e proprio locale dei bagni di forma rettangolare: da un lato la fila di una ventina di rubinetti e al lato opposto le dieci porte che danno l’accesso alle latrine con vasi turchi.

E’ lunedì, i vasi sono oltremodo sporchi perché la domenica non si fanno pulizie, sono quasi tutti intasati di feci e carte. Prima riempiamo dei secchi d’acqua che da distanza di sicurezza lanciamo contro l’obiettivo, ma non sempre è sufficiente a liberare i sifoni. Uno schizzo di rimbalzo colpisce in pieno viso Ricossa che non fa una piega, con la sua imperturbabile serenità va a lavarsi il viso ai lavandini vicini e si rimette al lavoro. Dobbiamo allora armeggiare con ventose, scope e molta acqua tra le amenità e le battute spiritose di Cherubini che non ci risparmia quelle più sapide suggerite dalla situazione. Io, come al solito, rido senza parlare e commentare. Raggiunto lo scopo, procediamo con il lavaggio e asciugatura dei pavimenti con gli strofinacci consegnatici. La ricreazione è quasi finita, ci laviamo e rientriamo nell’aula per le altre due ore di scuola.

          Padre Granero , nell’ora di geografia, ci legge, come d’uso, un altro brano del racconto del viaggio di James Cook[1] nei mari del sud sulle coste della Nuova Zelanda.



[1] James Cook (1728-1779), esploratore e scopritore di numerosi arcipelaghi del l’oceano Pacifico.

 

Felice te che al vento non vedesti cader che gli aquiloni (Pascoli: L'Aquilone)

          Aveva tredici anni … , non ne rammento neppure il nome!
Febbre alta, ansiosa concitazione del rettore e dei prefetti, visita medica, vano ricovero in ospedale.
Avvisati tempestivamente, i genitori da Roma hanno fatto appena in tempo a trovare il figlio agonizzante. … Morte per meningite fulminante.
          A nulla sono servite le preghiere private e pubbliche, sommesse e solenni. Nella tragedia i padri del Rivaio avrebbero voluto vedere tutti composti nella rassegnazione e nel religioso affidamento nelle mani della divinità … , ma quella madre, buttata su quel corpicino esanime … , bestemmiava Dio che le aveva tolto l’unico figlio. L'imbarazzo dei padri, sgomenti, si palpava! … la morte e il suo mistero erano profanati in ciò che avevano di più sacro! …  sacrilegio! … un vero sacrilegio!
          Passiamo uno per uno accanto alla sua bara, senza riuscire a pregare in quel momento. Una tenue smorfia rivela le terribili sue ultime sofferenze. Il suo viso si confonde con la camicia bianca, sia l’uno,  sia l’altra spiccano nel completo blu che lo veste per l’eternità.
          “Felice te che al vento …". 
            Ma sarà poi vero? [1]


[1] “ … Io pria torrei – servir bifolco per mercede, a cui – scarso e vil cibo difendesse i giorni, - che del mondo defunto aver l’impero. … “ - risponde Achille a Ulisse nell’Averno – Odissea, libro XI, 614-617. Se intendiamo la felicità mera assenza di preoccupazioni, probabilmente Pascoli avrebbe ragione; se invece la intendiamo come soddisfazione di tutti i bisogni e di tutte le aspirazioni, essa è irrealizzabile in vita ma anche in morte, perché la morte è la cancellazione di tutti i bisogni e di tutte le aspirazioni; se infine concepiamo la felicità come appagamento dei bisogni e delle aspirazioni che è nel potere dell’uomo ottenere nella situazione in cui si trova, allora la felicità è una possibilità realizzabile solamente restando in vita poiché con la morte tutte le possibilità si azzerano. Ma alla fin fine è meglio essere vivi anche se non felici o non pienamente felici, vivi con tutte le preoccupazioni e le sofferenze che la vita comporta che morti incapaci di gioire e di soffrire. Se una felicità in questa vita è possibile essa consiste nell’operare  rettamente e nell’ambito delle proprie possibilità e nell’accettare l’esistenza così com’è con serenità. Io ancora posso essere felice. Il compagno morto non ha più la possibilità né di essere felice né di essere infelice!

 

 

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