Tortora- Terra di confine

Stare al confine non sempre vuol dire essere emarginati, ma più spesso significa trovarsi nella posizione privilegiata di chi ha la possibilità di convivere con vicini di cultura diversa ed esserne partecipi e di fungere da mediatori.

        

         La sua specificità è stata sempre ed è tuttora quella di essere il tramite di collegamento fra culture ed economie: da una parte quella calabrese e dall’altra quelle lucana e campana.
Ciò è particolarmente evidente nell’idioma, nelle usanze e nei costumi, nei culti e nelle pratiche religiose, nelle superstizioni.
Per questa specificità il popolo tortorese è stato ed è incline più allo spirito di conciliazione, di accomodamento e di accondiscendenza, che non allo spirito di contrasto. Prove ne sono state nel passato l’arrendevolezza di fronte ai Francesi agli inizi del XIX secolo, l’accoglienza di Garibaldi, adesso l’ospitalità verso i forestieri, concessa o subita.  

         Mentre, ad esempio, la comunità di Lauria, in quanto tale, opponeva una fiera resistenza contro i Francesi di Manhès non cedendo neppure di fronte alle stragi di massa, ai saccheggi e alle distruzioni, la classe dirigente e la comunità di Tortora portate al compromesso, piegavano la testa davanti all’invasore, lasciando l’iniziativa della resistenza ad individui isolati. 

         Qualcuno la definirebbe viltà, altri senso della realtà, altri ancora, fra i quali lo scrivente, forse con più ragione, la vedono espressione dell’indole pacifica e della tendenza alla composizione dei contrasti, propria dei mediatori culturali ed economici. 

         Tortora è stata la terra di approdo di Reggini, Scalioti, Napoletani, ecc. che si sono integrati nel contesto sociale, conservando della loro identità originaria solo i cognomi. Se la vocazione della terra di Tortora ad espletare la funzione di anello di collegamento nei campi sociale, politico e culturale è ancora attuale, non si può dire la stessa cosa nel campo dell’economia. 

         La collocazione geografica del nostro territorio, alla confluenza di due valli sulla costa, ha da sempre nella sua storia favorito gli scambi commerciali con l’interno: con il Vallo Diano attraverso la valle del Noce, con l’alta valle del Lao attraverso la valle della Fiumarella; e gli scambi con i centri costieri via mare. Non è più così oggi per la perdita di importanza delle comunicazioni marittime di piccolo cabotaggio, per la costruzione della ferrovia con stazione a Praia a Mare e, infine, per la costruzione di strade statali ( la SS 18 e la SS 585 ) per le quali merci e servizi transitano solo di passaggio nel territorio, senza la possibilità per esso di conferire loro del valore aggiunto che possa costituire un reddito per la comunità che vi insiste.        
Ben altre potrebbero essere le prospettive se il territorio tortorese potesse dotarsi di infrastrutture, come per es. un porto, con le quali fornire servizi ad una fascia il più estesa possibile dell’entroterra e produrre un valore aggiunto che si tradurrebbe in reddito diretto o indiretto.
 

         Questo futuro è nelle mani di politici, tecnici, amministratori, economisti, imprenditori, dal livello locale a quello regionale fino a quello nazionale, non tanto per la realizzazione delle opere, ma quanto soprattutto per l’individuazione, l’incentivazione e il sostegno di una “domanda”, ovvero di una utenza, nelle zone dell’entroterra possibili fruitrici dei servizi messi in opera. Questi sono, direbbe qualcuno, sogni, ma di sogni si vive pure.
 

Michelangelo Pucci

 

 

 

 

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