Sul podio del refettorio

         Oggi tocca a me leggere in refettorio. E’ da più di venti giorni che, con il sottofondo a momenti più sonoro e intenso o a momenti più attutito e rado dello sbattere delle posate nei piatti, seguiamo e partecipiamo alle avventure e disavventure del padre missionario mandato a evangelizzare gli eschimesi del bacino del fiume Mackenzie[1].

         Il lettore di turno viene avvisato il mattino nel momento in cui gli viene consegnato il libro. Durante la ricreazione delle 10:30 ha possibilità di prendere visione delle pagine che dovrà leggere a pranzo e di ripetere più e più volte i passi che presentino particolari difficoltà nella struttura sintattica (periodi lunghi) o nella pronuncia di nomi straneri. In questa fase di preparazione egli fissa i punti in cui deve fare le pause o in cui deve cambiare tono o inflessione della voce.

Dobbiamo imparare a leggere come se raccontassimo, con scioltezza ed espressività, gli episodi proposti dal libro.

         Le pagine, che tocca a me leggere oggi, narrano del viaggio del missionario da Fort Providence, costruito sul ramo occidentale del Gran Lago degli Schiavi, a Fort Simpson che sorge sulla riva sinistra del fiume Mackenzie a circa 250 Km più a valle.

         La mia difficoltà è soprattutto la pronuncia dei nomi inglesi  delle località toccate dal padre missionario. Vado ad importunare padre Pavese che non s’infastidisce delle continue interruzioni della lettura del breviario per darmi retta. Non è a lui che manca la pazienza, è a me che difetta la disposizione a pronunciare quella lingua.

         Giunta l’ora del pranzo, dopo la preghiera tutti si siedono a tavola. Prendo posto dietro al leggio, mi siedo. Il cuore mi batte e pare che voglia saltar fuori dal petto. Quando comincio a leggere, la voce pare non voler uscire dalla gola, ma già dopo la prima frase acquisto più sicurezza e la voce si fa squillante e forte, almeno a me pare. Il batticuore passa quasi di colpo, mi sento quasi anestetizzato e sono io stesso meravigliato nel sentire il suono delle frasi che escono dalla mia bocca.

         Così, senza rendermene conto, il missionario con ai piedi le racchette, corre sulla neve tra una fermata e l’altra negli insediamenti degli indigeni. Vivo, raccontandole, le sue sofferenze. Sento freddo ai piedi quando a lui si congelano gli alluci e per salvarli si scalza e li strofina con la neve fino a che non riacquista la sensibilità. Mi dolgono le giunture delle dita quando gli si immobilizzano per il freddo le mani e deve batterle prima contro le anche e poi l’una contro l’altra per scaldarle e riprenderne il controllo. Mi si gela il naso quando il liquido che gli cola dal naso si ghiaccia e gli ostruisce le narici. Prendo pure io calore quando entra nell’igloo degli indigeni e può scaldarsi avvolto nelle sue pelli. Entro anch’io in imbarazzo quando trova difficoltà a spiegare all’eschimese che non può accettare la compagnia di sua moglie per la notte.

         La lettura sembra procedere liscia se non fosse per la pronuncia dei nomi inglesi delle località che storpio a volte tanto da scatenare l’ilarità dei compagni e da costringere il rettore a suonare il campanello per interrompermi e invitarmi a rileggerli, senza peraltro miglior risultato.



[1] Fiume del Canada Nord occidentale nello Stato omonimo. Nasce dal Grande Lago degli Schiavi, scorre da sud a nord ai piedi delle Montagne Rocciose, si getta nel Mare di Beauford nell’oceano Artico.

 

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