Tortora nel periodo del Risorgimento

Crogiuolo di idee ed iniziative che portano all'unità d'Italia, questo periodo comprende i primi sei decenni del XIX secolo. Ebbe inizio con l’occupazione francese del regno di Napoli e si concluse con la spedizione dei Mille di Garibaldi.

Il primo evento, accolto come liberatorio dalla tirannia, ben presto si rivelò nella sua vera natura di occupazione intesa a predare e spogliare. Le truppe francesi, alla minima resistenza, reagivano con estrema violenza, con il ricorso all’uso barbaro della tortura, non solo avverso i combattenti nemici catturati, ma anche nei confronti dei civili inermi comprese le donne, i vecchi e i bambini.

I Francesi incontrarono in Calabria una fiera resistenza sia da parte delle truppe borboniche regolari sia da quella degli irregolari denominati con il termine di briganti. Il fenomeno, indicato semplicisticamente con il termine comune di brigantaggio, fu molto complesso in effetti esso fu la manifestazione di resistenti borbonici, di oppositori clericali, di reazionari senza colore, di gente danneggiata dalle azioni dei Francesi, di mercenari al soldo degli Inglesi e, infine, di malavitosi.
Tutta questa gente, datasi alla latitanza, operava la tattica di una feroce guerriglia contro colonne dell’esercito francese, ma anche contro Lucani e Calabresi ritenuti, a torto o a ragione, amici dei Francesi; per approvvigionarsi taglieggiava, quando non spogliava, masserie e singoli contadini e pastori.
La situazione di questi ultimi si aggravò ulteriormente a causa dei provvedimenti dei Francesi che, per arginare il fenomeno del brigantaggio, li ritenevano responsabili di fiancheggiamento e favoritismo quando subivano predazioni. Tutto questo fu causa di abbandono di masserie e campi.
La valle del Noce fu teatro di massacri operati con tecniche di inaudita ferocia sia da parte dei cosiddetti briganti sia da parte dei Francesi del gen. Massena prima e del gen. Manhès poi. Tristo esempio ne furono: il massacro da parte dei resistenti lucani del battaglione polacco  seguito l'otto agosto 1806 da parte dei Francesi dal saccheggio, l’incendio e l’eccidio di Lauria in cui trovarono un’atroce morte inermi cittadini di ogni età e di ambo i sessi;  nel 1807 l'agguato teso dalla banda Palladino ad un drappello di 27 soldati francesi, catturati e scannati uno alla volta alle falde di Serra la Spina; nel 1808 massacro ad opera dei briganti di un drappello di soldati francesi presso il lago Sirino, catturato, il capo brigante fu impalato secondo il costume turco sul Timpone Rosso per ordine del generale francese; nel 1810 in tre date diverse i massacri di tre drappelli francesi, catturati e scannati comprese le donne mogli di ufficiali di cui una 22nne oltraggiata, torturata e uccisa.
A Tortora, il 13 dicembre 1806, 200 soldati francesi furono accolti pacificamente e con sottomissione da una rappresentanza di notabili e dal clero al completo. Risparmiati dai Francesi i Tortoresi dovettero però pagare il loro tributo di sangue ai briganti che il 5 maggio 1807 sequestrarono diversi cittadini di Tortora tra cui alcuni Mazzei, uno dei quali Pietro comandante della civica, e il governatore di Tortora Biagio d’Alitto, tutti fucilati il giorno successivo.
L’unico, ma importante, risvolto positivo del decennio di dominazione francese fu l’abolizione della feudalità sancita con la legge del 2 agosto 1806 emanata da Giuseppe Napoleone. Con essa si pose fine ai diritti feudali e a tutte le prestazioni ad essi connesse. I Comuni, i castelli e le terre furono messe alla diretta dipendenza della corona. Venne disposta la partizione delle terre feudali e demaniali a favore delle varie classi sociali, anche se nella fase di attuazione ci furono delle esclusioni di fatto dei meno abbienti e soprusi da parte dei più forti.
Passata la bufera francese, nei decenni successivi la vita dei Calabresi fu travagliata da varie sciagure:
- da terremoti disastrosi: a Catanzaro del 1832, nella valle del Crati nel 1835, a Rossano nel 1836, a Reggio Calabria nel 1839, a Cosenza nel 1854;
- a causa di disboscamenti, da frane e da alluvioni nella Calabria meridionale nel 1826, nella valle del Crati nel 1835, a Gioia Tauro nel 1843;
- dalla malaria;
- da epidemie (1837 e 1844);
- da carestie (del 1816-17 e 1846-47).
Tutto questo generò il fenomeno dell’accattonaggio (circa il 5% della popolazione); spinse la gente all’emigrazione e alimentò il brigantaggio.
Il brigantaggio, in questo periodo, fu un fenomeno conseguente alla miseria che si incrementava soprattutto nei periodi di sfavorevole congiuntura economica e nei periodi di passaggio dei poteri. Esso si manifestava nelle tradizionali forme del sequestro di persone, dell’estorsione e della grassazione di passo, praticata ai passi obbligati delle strade di transito delle merci e dei mercanti, come passi montani o boschi, a Tortora i passi del Carro, di Acqualesparte e della Melara. Il governo borbonico, nonostante qualche parziale successo, non riuscì a debellarlo.
Dopo la sconfitta di Gioacchino Murat, la ventata reazionaria dei Borboni interruppe la politica riformistica da loro intrapresa nel secolo precedente. Dal punto di vista politico il regno fu scosso dai moti carbonari del 1820-21 che, con l’adesione dei murattiani di cui Guglielmo Pepe era il maggiore rappresentante, ottenne la costituzione; dall’insurrezione del Cilento capeggiata da Antonio De Luca; dalla rivoluzione in Calabria del 1848 con la costituzione a Cosenza di un governo rivoluzionario, preceduta dallo sfortunato tentativo dei fratelli Bandiera (1844) sbarcati a Crotone con altri 19 compagni e fucilati a Cosenza; dal tentativo di Pisacane nel 1857 di sollevare il Cilento, finito tragicamente a Padula.
La vita tortorese in questo periodo si trascinò senza scosse, tranne il ritorno dei Vitale dopo la meteora di G. Murat, il passaggio del feudo ai principi di Casapesenna Vargas Machuca per matrimonio avendo Don Ferdinando Vargas Machuca sposato il 5 settembre 1824 Donna Carmela Bonito giovane vedova ed erede per atto testamentario del duca Don Alessandro Vitale1, l’epidemia di colera del 1837 che decimò la popolazione, fino al 3 settembre 1860 giorno in cui Garibaldi con sei del seguito passò per Tortora accolto dai notabili del paese e fu ospite per poche ore, dalle ore otto circa fino a metà mattinata, a casa della famiglia Lomonaco Melazzi che gli offrì una colazione (vedi: 'Garibaldi a Tortora').
 
La spedizione dei Mille aprì un nuovo periodo con l’annessione del regno dei Borboni allItalia unita sotto i Savoia. Per gli esiti successivi vedi il capitolo sull' 'Unità d'Italia'.

A questo periodo (tra 1700 e 1800) risale l'introduzione in zona dell'ailanto o Albero del Paradiso nel tentativo di allevare un altro tipo di baco da seta (Philosamia cynthia) che mangia appunto le sue foglie, ma con risultati fallimentari perché quasto tipo di baco non si adatta al nostro clima. L'allevamento fu abbandonato ma le piante rimasero e si diffusero infestando il territorio 
 
                                                                                              Michelangelo Pucci
   
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